Codici: la sentenza del processo al clan Casamonica è una vittoria di Pirro

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Dall'ufficio Stampa di Codici

Codici: la sentenza del processo al clan Casamonica è una vittoria di Pirro

Codici: la sentenza del processo al clan Casamonica è una vittoria di Pirro

È arrivata l’attesa sentenza del maxiprocesso al clan Casamonica ed il giudizio non può essere completamente positivo, come emerso dai primi commenti a caldo.

La sentenza

Dopo 7 ore di camera di consiglio, i giudici della X sezione penale del Tribunale di Roma ieri hanno pronunciato la sentenza di uno dei processi più attesi e seguiti per il clamore mediatico che ha suscitato. Comminate pene per oltre 400 anni di carcere. Per 44 imputati le accuse vanno a vario titolo dall'associazione mafiosa dedita al traffico e allo spaccio di droga all'estorsione, l'usura e detenzione illegale di armi. In 14 sono accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso. 

La mafia a Roma

Secondo l’associazione Codici ed il Forum delle Associazioni Antiusura, entrambe costituitesi parte civile, sono senz’altro importanti il riconoscimento dell’associazione di stampo mafioso per l’organizzazione criminale attiva nell’area est di Roma ed i 400 anni di carcere inflitti nel complesso agli imputati con l’usura tra i reati contestati, ma al tempo stesso non si può ignorare l'assenza in aula delle vittime.

Una denuncia ignorata

“Nel 2007, quasi 15 anni fa – dichiara Ivano Giacomelli, Segretario Nazionale di Codici – la nostra associazione, all’epoca una delle più importanti associazioni antiracket e antiusura con oltre 20 sedi sparse in altrettante province italiane, denunciava la presenza della criminalità organizzata a Roma, tracciando, quartiere per quartiere, la presenza di associazioni di tipo mafioso, nazionali e internazionali. Il tutto veniva presentato in un Report indirizzato alla Prefettura – UTG di Roma, al Ministero dell’Interno e al Commissario Straordinario per il coordinamento delle Iniziative per contrastare i fenomeni del racket e dell’usura e a Roma Capitale, allora ancora Comune di Roma. La reazione delle Amministrazioni coinvolte fu a dir poco scomposta: parlare di presenza della criminalità organizzata su Roma, addirittura con metodologie di tipo mafioso, era ‘procurato allarme’. La mafia a Roma non poteva esistere e chi denunciava tali fenomeni era in cerca di facili scoop e di un po’ di visibilità. I dati si basavano su una capillare ricerca di informazioni, elementi e dinamiche che erano sotto gli occhi di tutti, tranne di coloro che non volevano vederli. Dovevano essere solo raccordati, letti nel loro insieme e sintetizzati. Denunciavamo l’importanza di un associazionismo qualificato e del supporto delle istituzioni per portare alla denuncia le vittime di usura ed estorsione e della criminalità. La risposta delle istituzioni è stata la iattura del DM 220/07, che, in un goffo e scomposto tentativo di disciplinare il settore, ha determinato il frastagliamento e lo spezzettamento del mondo associativo e la perdita di know-how. Non è un caso che da allora le denunce in materia di usura ed estorsione, con l’unica eccezione dell’usura bancaria, si siano sempre più ridotte, fino ad arrivare praticamente a zero. L’esito del processo Gramigna bis non può che essere accolto con favore, ma se da una parte vuol dire che l’attività repressiva ha sviluppato la capacità di resistere alle componenti criminali, dall’altro certifica il totale fallimento delle politiche preventive. Un dato su tutti: a fronte di oltre 60 capi di imputazione e oltre 40 imputati, nessuna persona offesa dai reati si è costituita parte civile. Nessuna vittima è venuta a reclamare giustizia. I processi Gramigna, Gramigna bis e Gambacurta, solo per citare quelli più importanti che si sono svolti negli ultimi 10 anni a Roma ed a cui ha partecipato l’associazione Codici costituendosi parte civile, hanno visto l’assenza delle vittime, seppur una costante presenza delle associazioni antiracket e antiusura e per il contrasto alla criminalità organizzata. Le sentenze, però, mandano un grido di allarme: l’ennesimo”.

Le vittime non denunciano più

“Il mondo dell’associazionismo – afferma Carmine Laurenzano, avvocato di Codici – era il fulcro del meccanismo che portava alla denuncia. Smantellato quel meccanismo, le vittime non denunciano più. Poco importa se i 30 anni o i 25 anni di condanna al carcere, che abbiamo visto cadere sulle teste del clan Casamonica, Spada e Di Silvio, non portano a rivedere gli strumenti di prevenzione, gli strumenti di solidarietà e di incentivazione alla denuncia. Liberato uno spazio, se lo Stato non se ne riappropria ci sarà un altro clan a riprenderlo. E tra 15 anni magari ci troveremo a festeggiare altre condanne esemplari”.

Il fallimento delle politiche di prevenzione 

“La questione – concludono Giacomelli e Laurenzano – è che le istituzioni sono state a dir poco miopi, se non scellerate, smantellando pezzo per pezzo il sistema costruito a fatica, e sicuramente con grosse pecche ed errori, dal 1996. Abbiamo visto sperperare milioni e milioni di euro con risultati scadenti, inutili, si vadano a verificare correttamente i risultati dei PON Sicurezza. Oggi festeggiamo la sentenza del processo Gramigna bis, dove Codici e Forum delle Associazioni Antiusura erano costituite parte civile, come una vittoria di un apparato dello Stato, ma dobbiamo scendere a lutto per il totale fallimento delle politiche di prevenzione”.